Nell’epoca delle guerre asimmetriche e post-eroiche, chi può, per dotazione di denaro e di mezzi, preferisce evitare di combattere con i piedi sul terreno o dentro scatoloni blindati che si possono trasformare in trappole. Preferisce infatti lanciare esplosivi dall’alto dei cieli, grazie a cacciabombardieri e a droni di varia foggia: l’effetto mortifero è parimenti garantito, mentre si evita di correre rischi riguardo alla propria sacra persona e alla propria altrettanto sacra vita. Sul terreno restino a sputar sangue e budella i popoli inferiori che si scannano tra loro amorevolmente o, al limite, si aggiungano i nostri ragazzi inquieti, arruolati in truppe speciali di Stato o divenuti contractor per qualche compagnia di ventura postmoderna.
Maurizio Sparacino, su analisidifesa.it, in un articolo pubblicato il 2 febbraio 2016, intitolato “Nel mondo volano quasi 15 mila bombardieri”, riferisce i contenuti di un rapporto denominato Flightglobal, in cui si riportano interessanti cifre. Gli aerei da combattimento attualmente in servizio sono, in tutto il mondo, 14.552. Tra i top ten (per numerosità) ci sono velivoli statunitensi, ma anche russi e cinesi. Al primo posto, con 2264 velivoli in uso, c’è il famoso F-16 Fighting Falcon. Seguono gli F/A-18 Hornet, poi i Sukhoi Su-27 e Su-30 “Flanker”, quindi gli F-15 Eagle. Al quinto, sesto e settimo posto altri aerei russi: il MiG-29 “Fulcrum”, il MiG-21 “Fishbed”, il Sukhoi Su-25 “Frogfoot”. Chiudono, fino al decimo posto, il Northrop F-5, il Chengdu F-7 e il Chengdu J-7.
E il famoso F-35 dove sta? Fuori classifica: infatti non è ancora operativo in nessun paese tra quelli che se ne vogliono dotare, nemmeno negli USA. Fino a oggi volano circa 170 F-35, quasi tutti negli USA, ma si tratta di voli di prova, con efficienza poco sopra il 50%.
Nell’articolo presente in analisidifesa.it, intitolato “I dubbi di Roma sull’F-35”, pubblicato il 18 gennaio a firma di Silvio Lora Lamia (forse il giornalista più esperto in questioni aeronautiche), possiamo leggere diverse notizie ricavate da fonti di prima mano, cioè anche dal Segretariato Generale delle Difesa italiana, che è il centro di spesa e di controllo per i sistemi d’arma. Veniamo così a conoscenza delle perplessità ancora presenti persino oltre Atlantico. Il capo del programma F-35, il generale Bogdan, afferma infatti che gli aerei già acquistati dagli USA avranno bisogno di almeno altri due anni e mezzo per essere davvero “combact capable”. A noi viene in mente la dichiarazione della ministra Pinotti, che li voleva usare subito contro ISIS o contro altre minacce islamiste nel bacino del Mediterraneo.
Lora Lamia fa inoltre notare che in Italia il percorso contrattuale di acquisizione dei velivoli in questione sta subendo qualche intoppo e qualche ritardo. Gli acquisti avvengono per lotti e in diverse fasi piuttosto complesse da descrivere. Fino a oggi, l’Italia ha acquistato 8 F-35 (dal sesto, dal settimo e dall’ottavo lotto di produzione): si tratta delle macchine assemblate nello stabilimento che sta all’interno dell’aeroporto militare di Cameri. Uno di questi F-35 ha fatto il suo volo inaugurale nei primi giorni di settembre del 2015.
Lamia riferisce altresì che l’iter contrattuale per l’acquisto di altri sei aerei del nono e del decimo lotto dovrebbe concludersi tra febbraio e marzo, mentre l’Italia sembra assente dall’undicesimo lotto. In teoria, i ritardi non dovrebbero danneggiare la produzione all’interno dello stabilimento di Cameri, perché Finmeccanica continuerebbe le lavorazioni, per così dire, a suo rischio. In definitiva: nessuno ha ridotto ulteriormente il numero dei 90 pezzi da acquistare (come avvenuto durante il governo Monti, con il calo dai 131 pezzi inizialmente ipotizzati); dei 90 totali, 38 F-35 dovrebbero essere consegnati entro il 2025: queste le indicazioni della programmazione generale di acquisto. Quindi, nonostante le perplessità presenti anche nel PD, sembra che tutto continuerà in modo invariato, anche se si è in attesa della Revisione Strategica del Libro Bianco della Difesa e anche se le spese militari italiane potrebbero andare incontro alla necessità di un adattamento alle nuove condizioni presenti a sud della Sicilia, per cui, in caso di intervento massiccio in Libia, potrebbe essere necessario rivedere la politica di spesa.
Tra dubbi sui difetti tecnici e problemi di tipo finanziario, comunque, l’impresa F-35 prosegue anche in Italia, nonostante campagne di contrasto, giocate anche a livello nazionale ad opera di grandi reti pacifiste e abituate a relazioni istituzionali, come la Rete Italiana Disarmo.
A livello locale, nel Novarese, dove è situato lo stabilimento per l’assemblaggio degli F-35, che è di proprietà della Difesa ma è stato dato in uso a Finmeccanica e a Lockheed Martin, le iniziative di contrasto di questa acquisizione dei nuovi cacciabombardieri sono sempre più rare e faticose. È vero che la promessa delle migliaia di posti di lavoro è stata in gran parte disattesa, però lo stabilimento esiste e impiega alcune centinaia di tecnici ed operai. Di conseguenza, gran parte della popolazione locale vede questo impianto come possibile fonte della creazione di ulteriori posti di lavoro, soprattutto in vista della manutenzione dei velivoli che, una volta prodotti, saranno operativi ed avranno necessità di assistenza sistematica e regolare.
All’inizio dell’anno appena trascorso, fonti sindacali davano i seguenti numeri riguardo all’occupazione dentro lo stabilimento camerese: 250 trasfertisti (cioè lavoratori spostati a Cameri da Caselle e da Venegono: quindi non nuovi assunti ma solo ricollocati in nuova produzione), 180 fissi ma in gran parte apprendisti (quindi fissi nel senso di dipendenti dello stabilimento, non nel senso di dipendenti a tempo indeterminato), 60 dipendenti di Lockheed Martin (di provenienza quasi totalmente estera), alcune decine di interinali. Vi era l’ipotesi di una accrescimento di qualche decina di unità, fino ad un centinaio circa, nel corso dell’anno 2015; era stato anche comunicato, tramite i giornali locali, che una parte degli interinali sarebbe stata sostituita da dipendenti diretti di Finmeccanica. Ora, non possiamo dire con certezza quanto sia realmente accaduto in questi mesi, poiché le notizie vengono centellinate con discreta sapienza propagandistica. In ottobre, per esempio, un comunicato dell’Istituto tecnico Fauser ha reso noto alla cittadinanza che sono stati assunti nello stabilimento di Cameri circa 70 ex alunni del corso di costruzioni meccaniche aeronautiche; alcuni di questi assunti si sono ulteriormente specializzati grazie ad un corso ITS, postdiploma, attivato presso lo stesso istituto Fauser. Non è quindi difficile comprendere come nella città di Novara e nei dintorni, seppure di fronte a numeri non certo spettacolari, la produzione degli F-35 venga vista come un’opportunità lavorativa per giovanotti e giovanotte di buona famiglia che vogliano intraprendere una carriera di tecnico costruttore meccanico. I distinguo sulla effettiva acquisizione di abilità tecnologiche in uno stabilimento di mero assemblaggio fanno poca presa in chi è affamato di posti di lavoro.
La propaganda a sostegno della produzione di cacciabombardieri va comunque affievolendosi: si tende a tenere un basso profilo, anche nella sede dell’Istituto Fauser, che, in passato, aveva adottato una politica di sostegno entusiastico alla produzione dei nuovi velivoli da guerra. Del resto non c’è più un gran bisogno di gonfiare le cifre degli occupati o di inventarsi chissà che cosa, visto che il contrasto operato dal movimento pacifista e antimilitarista locale si è andato progressivamente attenuando. La mobilitazione popolare che, soprattutto tra il 2007 e il 2011, sembrava essere significativa, tanto da far lamentare alcuni alti ufficiali di stanza nell’aeroporto militare di Cameri a proposito della diffusione nel territorio di un inedito sentimento antimilitarista, si è poi andata diradando; ciò sicuramente a causa dell’entrata in funzione dello stabilimento: segno di una sonora sconfitta sul campo. Inoltre, una piccola regia sapiente da parte delle forze armate tende a fidelizzare i giovani fin dai loro anni di frequenza scolastica. Si fanno piccole cose che però producono effetti di lunga durata. Sembra banale, ma anche solo presentare il calendario dell’aeronautica militare ai ragazzi dell’Istituto tecnico Fauser e del liceo scientifico Antonelli (come accaduto nei giorni scorsi) produce i suoi effetti, visto che non è data occasione analoga di informazione e propaganda alle forze residue in campo pacifista ed antimilitarista.
Potremo magari assistere in futuro a un risveglio del movimento di contrasto dei cacciabombardieri, almeno a livello locale. Ad oggi dobbiamo purtroppo constatare che le presenze in piazza, anche solo per presidi di tipo informativo, vanno rarefacendosi. Vero è che ancora si creano occasioni di incontro in serate pubbliche informative, anche per quanto concerne il tema generale della guerra e delle guerre in cui viene coinvolto il nostro Paese; tuttavia, non si agisce molto e questa sorta di attendismo inerte tende a coinvolgere anche quelle forze politiche dell’opposizione parlamentare ed extraparlamentare che si sono sempre dichiarate contrarie alla fabbricazione e all’acquisto degli F-35. È come se i diversi gruppi esistenti aspettassero un evento risolutore, o l’azione decisiva di altri, ai quali accodarsi eventualmente (in caso di successo) e ai quali regalare le proprie bandiere da sventolare in occasione di mobilitazioni sostanziose. In definitiva, bisogna essere coscienti che anche a livello locale si riscontrano gli stessi problemi di mobilitazione evidenti a livello nazionale: in un’epoca in cui la guerra è rientrata a far parte del paesaggio quotidiano offerto dai media, in un’epoca in cui esistono nemici perfetti da contrastare con ogni mezzo, non si capisce davvero perché si dovrebbe rinunciare a possedere macchine di morte come gli F-35, che, sebbene appesantiti da alcuni problemi tecnici, si pongono come opzione irrinunciabile per i prossimi trent’anni, se si vuole essere protagonisti sullo scenario mondiale delle aggressioni e dei massacri.
Dom Argiropulo di Zab.